Quando vai in mari tropicali ti aspetti palme, spiaggia
bianchissima, sole, colori smeraldo. E questo quando arrivi sulla spiaggia di
Jambiani lo vedi da subito. Però noti anche che l’acqua a riva non è limpida e
speri che sia un fenomeno di breve durata. Metti i piedi in acqua e provi la
sgradevolissima sensazione di affondare nel fango (si tratta invece di un
finissimo deposito corallino color bianco latte).
Il primo impatto è stato contraddittorio: fascino e delusione insieme mi lasciavano interdetto; l’identità del luogo era altra cosa di quello che mi ero immaginato nella preparazione del viaggio. Invece ero io che non capivo, che avevo bisogno di entrare in sintonia con quel luogo e che stavo inconsciamente cercando una chiave di lettura. Per scoprirla ho avuto bisogno di un incontro inatteso, uno di quelli che ti emozionano e ti cambiano il punto di vista. Mattina presto, con il sole appena diventato giallo pallido, il silenzio del mare che si sta allontanando per effetto della bassa marea. Dal niente emerge una piccola mandria di vacche che camminano silenziosamente lungo il bordo del mare (direzione rigorosamente sud–nord, non le abbiamo mai viste andare nella direzione contraria in tutti vari incontri successivi). Non c’era anima viva tutto intorno. Le vacche sembravano seguire solo il proprio ineludibile destino. Non avevano fretta e hanno fatto una breve sosta sdraiandosi pigramente ad assaporare i primi raggi del sole, ancora quasi orizzontali sulla superficie del mare.
Allora ti guardi intorno e capisci di aver avuto negli
occhi fino a quel momento una tua immagine mentale, non il fantastico scenario
che hai di fronte. Ti rendi conto che stai entrando in un paesaggio che cambia
di continuo. Non con il ritmo delle stagioni. Ma con la marea che quasi due
volte al giorno fa avanti e indietro. Il quasi è fondamentale, perché ogni
giorno slitta di un’ora e quindi incontra condizioni di luce diversa: una volta
l’alba si riflette su sottili pozze d’acqua sparse qua e là, un’altra volta c’è
il mare che avanza sollevando il fondale. Stessa cosa per il sole allo zenit o
al crepuscolo. La tavolozza dei colori si moltiplica all’infinito (cometestimoniato dall’album fotografico).
Conclusione ho finalmente capito che non stavo davanti al
Mediterraneo: l’Oceano Indiano incontrato sulla costa orientale di Zanzibar è
tutto un altro mare. Standogli vicino, navigandoci sopra, facendo brevi
attraversamenti, ti accorgi che le immagini statiche nascondono più che
rivelare la vita e l’energia che si nasconde sopra e sotto la superficie
dell’acqua.
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