Tra i ricordi familiari esposti sui ripiani della libreria,
le due piccole scatole d’argento meritano un racconto. Le ha trovate Teresa in Cappadocia
nel piazzale di ingresso a un insediamento ipogeo (un tipo di architettura che
è difficile memorizzare perché fa perdere il senso dell’orientamento). A Derincuyu
su una bancarella improvvisata ai margini di uno spiazzo polveroso tra semplici
case in costruzione, Teresa ha cominciato a contrattare con un ragazzo che non
si capacitava per un acquisto di oltre 20 pezzi da 2.000 lire ciascuno: le
scatole sarebbero servite come regalini per personalizzare la cena di Natale
con i parenti.
Le emergenze paesaggistiche in Cappadocia sono estranianti rispetto agli attuali abitanti in quanto luoghi desertici (quando non totalmente falsificati). Sono anche luoghi quasi senza vegetazione o animali. Forse per contrappunto i pochi episodi di scambio sono più vividi.
Nel nostro mondo dominato dalla pubblicità, gli oggetti
devono apparire senza anomalie e perfettamente rifiniti. Di fronte alle scatole
in questione il consumatore consumista tende a considerarle un prodotto di
scarto. A prima vista possono apparire ammaccate, raffazzonate, prive di una
vera identità.
Guardandole con calma da vicino, un primo motivo di
curiosità riguarda la asimmetria di tutte e due le decorazioni che non sembrano
pensate per le relative scatole. Più probabile che i pezzi di lamiera sbalzata
costituiscano una sorta di riciclo: parti di altri oggetti, forse rotti o
danneggiati, che diventano la decorazione, l’arricchimento di oggetti più
poveri o meno pretenziosi. Le saldature approssimative, piene di sbavature e
non dissimulate ne offrono la conferma.
Anche la soluzione adottata per la cerniera parla di
artigiani abituati alla autosufficienza, a risolvere i problemi con quello che
si trova a bottega.
La stessa concezione delle scatole con due fogli ritagliati
per il sopra ed il sotto saldati a due bordi sagomati fa pensare ad una sorta
di ingenuità preindustriale. Senza contro sagome o linee di produzione la forma
nasce dai gesti, dal contatto diretto con il materiale e gli utensili: fornace,
pinze, martelli, incudine, cesoie, saldatrice, scalpelli.
Entrando in maggiore dettaglio la materialità della lamiera
d’argento rende visibile l’azione di abili mani.
Basta guardare la lavorazione a sbalzo della parte
superiore. L’esecuzione non può dirsi impeccabile. Eppure la foglia e la goccia
di una prima scatola, ottenute a rilievo, mostrano facilità e maestria nella
sbozzatura e finitura del disegno. Il festone dell’altra appare forse più
stilizzato o sbrigativo. In tutti e due i casi pochi colpi decisi e rapidi per
un bassorilievo che prende subito vita senza debordare nelle finiture di
maniera.
Come di consueto con i metalli malleabili il lavoro a sbalzo
della lamiera comincia al rovescio e il rilievo è ottenuto per negativo. L’artigiano
batte la lamiera con mazza e scalpelli arrotondati dal di dietro del disegno
sopra uno strato di pece o cera che cede al rigonfiarsi della lamiera. Poi il
lavoro di finitura serve ad evidenziare le sagome: l’artigiano accentua
l’effetto profondità battendo la stessa lamiera dal davanti con scalpelli più
sottili lungo i bordi della figura a rilievo.
Le due piccole scatole raccontano un mondo artigianale
come quello incontrato a Urfa (vedi il post del 4 novembre 2012). Allora il
viaggio diventa la mediazione tra mondi e culture, gli acquisti la
documentazione dell’avvenuto contatto.
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