Volevo
vedere da vicino una barriera corallina. Mi domandavo se certe esperienze erano
alla mia portata o erano riservate a subacquei esperti, capaci di immergersi in
luoghi remoti e raggiungere grandi profondità. Nella mia immaginazione si
mescolavano tante immagini di cose viste in televisione o su riviste e libri.
Speravo esistesse un posto dove i coralli crescevano vicino alla riva e fossero
a bassa profondità in modo da poterli toccare con le mie mani.
Le
formazioni coralline più facilmente (o meno difficilmente) raggiungibili
dall’Italia stanno nel Mar Rosso, ma avevo paura che ad agosto facesse troppo
caldo. Nelle mie ricerche in rete ho allargato il campo di osservazione
digitando “barriera corallina” (a volte accompagnata da “visita” o
“snorkeling”) ed è venuto fuori Zanzibar.
Altri requisiti per definire il pacchetto vacanza: che i costi complessivi fossero proporzionali alle mie disponibilità, che la stanza o il bungalow fosse proprio sulla spiaggia, che la pressione turistica fosse limitata, che non ci fossero grandi costruzioni nelle vicinanze, che l’albergo fosse di dimensioni contenute, lontano da discoteche o villaggi con animatori, ovvero estraneo a quel turismo alla spasmodica ricerca della confusione e del divertimento.
Già
dalla prima serie di interrogazioni ho trovato molto utile un sito che
raggruppa gli alberghi di molti stati africani subsahariani. Ne individua la
localizzazione specifica e ne descrive correttamente le caratteristiche
(www.africatravelresource.com è un sito esclusivamente informativo che evita
all’utente il fastidio della pressione pubblicitaria). Un facile esame
comparativo mi ha permesso di focalizzare la destinazione che meglio teneva in
equilibrio tutte le mie esigenze o aspettative: Villa de Coco Resort tra i piccoli
aggregati urbani di Page e Jambiani sulla spiaggia sud-est di Zanzibar.
Dall’albergo è stato poi facile risalire all’operatore turistico per valutare
la convenienza economica dell’offerta. Siccome mi sono trovato bene, mi sembra
giusto fornire anche la pagina web dell’albergo: http://www.villadecoco.net/it.
Appena
arrivato in albergo ho esaminato il pacchetto delle escursioni che mi venivano
offerte e, da subito, ho prenotato una passeggiata sulla barriera corallina che
si vedeva in lontananza ad un paio di chilometri davanti allo stesso albergo.
Ci si arrivava accompagnati da una guida con una barca tradizionale in legno a
vela col bilanciere. La nostra guida sarebbe stata Dua che ci è stato
presentato dall’albergatrice come uomo di assoluta fiducia.
Il
primo e il secondo giorno dal nostro arrivo Teresa ed io abbiamo preferito
ambientarci con due lunghe passeggiate, una a nord verso Page e una a sud verso
Jambiani. Il terzo giorno Dua ha fatto da intermediario con il capitano per
concordare l’ora della partenza più opportuna rispetto alla marea. Poi ci ha
accompagnati in macchina e a metà mattina ci siamo imbarcati noi due,
l’interprete/guida, il capitano/proprietario della barca e un giovane marinaio.
Un’annotazione particolare la merita la tradizionale barca in legno che a
dispetto delle apparenze si adatta perfettamente sia alla navigazione in quel
tratto di mare, sia alla mancanza di attracchi, sia ancora al succedersi delle
maree. Quando il mare si ritira la barca semplicemente si adagia sulla sabbia e
il bilanciere la tiene in equilibrio (evita il capovolgimento dello scafo)
anche in secca. Quando poi l’acqua ritorna, basta un pescaggio minimo perché
possa tornare a veleggiare verso il largo e il bilanciere compensa l’impatto
del vento sulla vela.
L’arrivo sulla barriera corallina |
Poco
prima di raggiungere il bordo della laguna, dove si infrangono le onde del mare
aperto, la barca si è fermata ed ho potuto fare la mia prima immersione con
pinne, maschera e fotocamera subacquea comprata per l’occasione. Nei giorni
successivi, sempre a Zanzibar, ho visto cose ben più spettacolari, ma, come si
dice, la prima emozione non si scorda mai. Le foto scattate e le brevi riprese
effettuate non rendono onore allo spettacolo naturale. Un corallo vivo è un
corallo vivo; i paragoni letterari o le spiegazioni verbali non servono. Poi da
subito tra i coralli fanno mostra di sé grandi stelle marine grigie con delle
creste rosse, oppure nere con le braccia sinuose. Pesci colorati e
coloratissimi, soli e in piccoli branchi, conchiglie e tutto il resto.
Risalito
a bordo, abbiamo raggiunto la vera e propria barriera. La bassa marea la lascia
praticamente scoperta. Non asciutta, perché un po’ d’acqua circola sempre sulla
superficie. Ma noi ci camminavamo sopra. Le scarpe si bagnavano, ma le caviglie
restavano per gran parte all’asciutto. Fintantoché i frequentatori sono pochi
(oltre Dua, il giovane pescatore e noi due, sulla barriera giravano una decina
di pescatori tutti locali, non turisti) il traffico è sostenibile. Se la
densità dovesse aumentare diventerebbe rapidamente una pratica da vietare per
la salvaguardia di un ecosistema così importante e delicato.
La
cosa mi ha preso alla sprovvista. Ero entusiasta, ma ripensandoci dopo,
l’entusiasmo è ulteriormente cresciuto. Dua accompagnandoci ha via via richiamato
la nostra attenzione sulle tante creature che davano vita alla barriera: stelle
marine pentagonali che assomigliano a dei panini; pesci spugna (che in realtà
dopo ho saputo appartenere al genere dei coralli) con tentacoli urticanti per
alcuni pesci, protettivi per altri; conchiglie affogate nella roccia con un
bordo sinusoide decorato da una sorta di merletto verde scuro, che si chiudono
di scatto e possono rovinarti un dito; una ampia gamma di piccoli coralli
ancora nello stato iniziale (si fa per dire) del loro possibile sviluppo. Il
poter osservare tutto questo con calma, stando all’asciutto, per nuotatori
improvvisati come noi, fa veramente la differenza. Pensavo che le immersioni
fossero la vera chiave di lettura, invece mi è rimasto il ripianto di non aver
ripetuto questa passeggiata per approfondire, consolidare una visione di
insieme così articolata e complessa.
Dua
raccoglieva e giocava con una serie di creature viscide di fronte alle quali
Teresa e io ci tenevamo lontani. Ovviamente la conoscenza e la consuetudine ti
permette di familiarizzare con organismi che al primo impatto ti mettono in
difficoltà. Ma la varietà delle forme viventi, il loro essere integrate in un
unico sistema in continuo movimento e trasformazione, rende la sintonia degli
abitanti del luogo con il luogo un insegnamento che va oltre la nostra
curiosità o capacità di adattamento. Ai cittadini delle grandi città servirebbe
un’opera di rieducazione alla natura che non si fa sui libri ma con la pratica
quotidiana e ha bisogno di tempi non turistici.
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