martedì 2 ottobre 2012

Zanzibar - L’approdo sulla barriera corallina


the reef on the east coast of zanzibar at low tide
Volevo vedere da vicino una barriera corallina. Mi domandavo se certe esperienze erano alla mia portata o erano riservate a subacquei esperti, capaci di immergersi in luoghi remoti e raggiungere grandi profondità. Nella mia immaginazione si mescolavano tante immagini di cose viste in televisione o su riviste e libri. Speravo esistesse un posto dove i coralli crescevano vicino alla riva e fossero a bassa profondità in modo da poterli toccare con le mie mani.
Le formazioni coralline più facilmente (o meno difficilmente) raggiungibili dall’Italia stanno nel Mar Rosso, ma avevo paura che ad agosto facesse troppo caldo. Nelle mie ricerche in rete ho allargato il campo di osservazione digitando “barriera corallina” (a volte accompagnata da “visita” o “snorkeling”) ed è venuto fuori Zanzibar.
satellite photo of the lagoon between the jambiani beach and the reef in zanzibar from google earth
Con le foto satellitari e gli strumenti di navigazione di Google Earth ho visualizzato da lontano e da vicino l’isola, la spiaggia, nonché la vera e propria la barriera. La diga litoranea naturale, che protegge la costa orientale di Zanzibar, mi è sembrata aderire pienamente all’obiettivo. L’esperienza ha poi dimostrato che la mia fotointerpretazione era sbagliata, ma il luogo del primo incontro con il reef era giusto per tanti altri motivi.
Altri requisiti per definire il pacchetto vacanza: che i costi complessivi fossero proporzionali alle mie disponibilità, che la stanza o il bungalow fosse proprio sulla spiaggia, che la pressione turistica fosse limitata, che non ci fossero grandi costruzioni nelle vicinanze, che l’albergo fosse di dimensioni contenute, lontano da discoteche o villaggi con animatori, ovvero estraneo a quel turismo alla spasmodica ricerca della confusione e del divertimento.
Già dalla prima serie di interrogazioni ho trovato molto utile un sito che raggruppa gli alberghi di molti stati africani subsahariani. Ne individua la localizzazione specifica e ne descrive correttamente le caratteristiche (www.africatravelresource.com è un sito esclusivamente informativo che evita all’utente il fastidio della pressione pubblicitaria). Un facile esame comparativo mi ha permesso di focalizzare la destinazione che meglio teneva in equilibrio tutte le mie esigenze o aspettative: Villa de Coco Resort tra i piccoli aggregati urbani di Page e Jambiani sulla spiaggia sud-est di Zanzibar. Dall’albergo è stato poi facile risalire all’operatore turistico per valutare la convenienza economica dell’offerta. Siccome mi sono trovato bene, mi sembra giusto fornire anche la pagina web dell’albergo: http://www.villadecoco.net/it.
Appena arrivato in albergo ho esaminato il pacchetto delle escursioni che mi venivano offerte e, da subito, ho prenotato una passeggiata sulla barriera corallina che si vedeva in lontananza ad un paio di chilometri davanti allo stesso albergo. Ci si arrivava accompagnati da una guida con una barca tradizionale in legno a vela col bilanciere. La nostra guida sarebbe stata Dua che ci è stato presentato dall’albergatrice come uomo di assoluta fiducia.
Il primo e il secondo giorno dal nostro arrivo Teresa ed io abbiamo preferito ambientarci con due lunghe passeggiate, una a nord verso Page e una a sud verso Jambiani. Il terzo giorno Dua ha fatto da intermediario con il capitano per concordare l’ora della partenza più opportuna rispetto alla marea. Poi ci ha accompagnati in macchina e a metà mattina ci siamo imbarcati noi due, l’interprete/guida, il capitano/proprietario della barca e un giovane marinaio. Un’annotazione particolare la merita la tradizionale barca in legno che a dispetto delle apparenze si adatta perfettamente sia alla navigazione in quel tratto di mare, sia alla mancanza di attracchi, sia ancora al succedersi delle maree. Quando il mare si ritira la barca semplicemente si adagia sulla sabbia e il bilanciere la tiene in equilibrio (evita il capovolgimento dello scafo) anche in secca. Quando poi l’acqua ritorna, basta un pescaggio minimo perché possa tornare a veleggiare verso il largo e il bilanciere compensa l’impatto del vento sulla vela.
excursion on a sailing boat to reach the reef in front of jambiani
L’arrivo sulla barriera corallina
Per la escursione alla barriera corallina, noi siamo saliti a bordo con la bassa marea (cosa che facilita la salita e la discesa ai non esperti). Abbiamo quindi dovuto fare un tratto a piedi sull’arenile per raggiungere la barca fino al limite della parte in secca. Appena partiti, la brezza ci faceva avanzare veloci, l’acqua smeraldo, lo scenario unico, anche se ad agosto nell’emisfero meridionale il tempo non è dei migliori perché c’è sempre qualche nuvola che filtra il sole. In compenso non abbiamo patito il caldo.
Poco prima di raggiungere il bordo della laguna, dove si infrangono le onde del mare aperto, la barca si è fermata ed ho potuto fare la mia prima immersione con pinne, maschera e fotocamera subacquea comprata per l’occasione. Nei giorni successivi, sempre a Zanzibar, ho visto cose ben più spettacolari, ma, come si dice, la prima emozione non si scorda mai. Le foto scattate e le brevi riprese effettuate non rendono onore allo spettacolo naturale. Un corallo vivo è un corallo vivo; i paragoni letterari o le spiegazioni verbali non servono. Poi da subito tra i coralli fanno mostra di sé grandi stelle marine grigie con delle creste rosse, oppure nere con le braccia sinuose. Pesci colorati e coloratissimi, soli e in piccoli branchi, conchiglie e tutto il resto.
Risalito a bordo, abbiamo raggiunto la vera e propria barriera. La bassa marea la lascia praticamente scoperta. Non asciutta, perché un po’ d’acqua circola sempre sulla superficie. Ma noi ci camminavamo sopra. Le scarpe si bagnavano, ma le caviglie restavano per gran parte all’asciutto. Fintantoché i frequentatori sono pochi (oltre Dua, il giovane pescatore e noi due, sulla barriera giravano una decina di pescatori tutti locali, non turisti) il traffico è sostenibile. Se la densità dovesse aumentare diventerebbe rapidamente una pratica da vietare per la salvaguardia di un ecosistema così importante e delicato.
La cosa mi ha preso alla sprovvista. Ero entusiasta, ma ripensandoci dopo, l’entusiasmo è ulteriormente cresciuto. Dua accompagnandoci ha via via richiamato la nostra attenzione sulle tante creature che davano vita alla barriera: stelle marine pentagonali che assomigliano a dei panini; pesci spugna (che in realtà dopo ho saputo appartenere al genere dei coralli) con tentacoli urticanti per alcuni pesci, protettivi per altri; conchiglie affogate nella roccia con un bordo sinusoide decorato da una sorta di merletto verde scuro, che si chiudono di scatto e possono rovinarti un dito; una ampia gamma di piccoli coralli ancora nello stato iniziale (si fa per dire) del loro possibile sviluppo. Il poter osservare tutto questo con calma, stando all’asciutto, per nuotatori improvvisati come noi, fa veramente la differenza. Pensavo che le immersioni fossero la vera chiave di lettura, invece mi è rimasto il ripianto di non aver ripetuto questa passeggiata per approfondire, consolidare una visione di insieme così articolata e complessa.
Dua raccoglieva e giocava con una serie di creature viscide di fronte alle quali Teresa e io ci tenevamo lontani. Ovviamente la conoscenza e la consuetudine ti permette di familiarizzare con organismi che al primo impatto ti mettono in difficoltà. Ma la varietà delle forme viventi, il loro essere integrate in un unico sistema in continuo movimento e trasformazione, rende la sintonia degli abitanti del luogo con il luogo un insegnamento che va oltre la nostra curiosità o capacità di adattamento. Ai cittadini delle grandi città servirebbe un’opera di rieducazione alla natura che non si fa sui libri ma con la pratica quotidiana e ha bisogno di tempi non turistici.

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