Autenticità e contaminazioni. Se
provi a fare due passi lungo le spiagge di Zanzibar, vieni subito assalito da
questuanti che con la scusa di fare amicizia provano a rifilarti cose di
pessimo gusto o servizi turistici della più varia specie. Colpa non solo loro,
ma anche dei turisti che scambiano questi incontri come la scoperta della vera
Africa.
Tra
i questuanti di cui sopra alcuni sono vestiti da Masai (e spesso effettivamente
lo sono). Ma avendo già incontrato questo popolo anni prima alla periferia di
Nairobi mi sono sembrati falsi.
Prima
però i due clan insieme hanno steso una serie di stuoie sul terreno e offerto
le loro mercanzie. Erano tutti oggetti fatti da loro, o meglio dalle donne del
villaggio, specializzate in bigiotteria femminile. Dopo la lunghissima e
rituale trattativa ho comprato per pochi euro una collana e una strana coppia
di orecchini di indubbio valore antropologico.
Nonostante
fosse l’ultimo giorno di viaggio e quindi avessi già preso contatto con le
tante realtà dell’Africa subsahariana, quell’incontro mi ha preso alla
sprovvista. Ho subito colto l’autenticità culturale del gruppo Masai. Tant’è
che mi sono messo a fotografare dettagliatamente le loro capanne con grande
meraviglia di tutti i presenti. Sono stato invitato ad entrare in una capanna
da una anziana donna che continuava a parlare anche se io non capivo una parola
della sua lingua (ero solo terrorizzato che mi offrisse qualcosa da bere,
fortunatamente non è successo).
Però
non ho fotografato la scena, le stuoie con i gioielli, le donne che assediavano
ciascuno di noi offrendo collane, orecchini e forse altre cose che non ho
memorizzato. Non ho fotografato i loro volti, il loro modo di vestire tra
tradizione e contaminazione occidentale. Mi sono in parte riscattato quando le
donne del clan che ci ha invitato hanno recuperato parte della loro tradizione
e ci hanno salutato con una danza ed il relativo accompagnamento cantato. Le
due brevi clip hanno catturato uno di quei momenti che restano negli occhi e
nella memoria.
A
Zanzibar i braccialetti offerti ai turisti sono banali, reperibili in molti
mercati romani a prezzi analoghi. Poi all’inizio non mi piaceva il ruolo
assegnato dall’albergatore ai Masai che dovevano proteggere gli ospiti da
incontri indesiderati sulla spiaggia (dai questuanti mi difendo da solo, altrimenti
tutto diventa artificiale). Fortunatamente il coinvolgimento negli eventi reali
aggiusta la prospettiva.
Poi
Teresa ha notato che all’inizio della giornata una nonna, una madre e una
figlia masai attraversavano la spiaggia davanti all’albergo per rifugiarsi o
nascondersi sotto le palme in un’area vuota, a fianco dello stesso albergo.
Provenivano da una imprecisata zona a nord, dove probabilmente hanno costruito
la propria capanna, ma non abbiamo avuto modo di verificare. In ogni caso per
l’intera giornata lavoravano per realizzare i braccialetti con le perline.
Il
breve filmato mostra una cosa che va ridetta con le parole: le donne non
sorridono mai. Se per le due adulte può trattarsi di pudore o legittima
diffidenza, per la bambina è più difficile da capire. A quella età ridere e
sorridere di fronte a persone diverse è un comportamento che ho sempre ritenuto
e sperimentato come istintivo e naturale. In alternativa la fuga o il pianto.
Rimango disorientato davanti allo sguardo serio o preoccupato delle bambina
masai che non guarda volentieri nell’obiettivo, ma neanche si ritrae come se
già avesse metabolizzato le difese e il dolore degli adulti.
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