giovedì 18 ottobre 2012

Tamilnadu – Un itinerario in 4 tappe (7 giorni)


Un viaggio per attraversare il Tamilnadu ovvero lo stato che occupa la parte sud est dell’India, dirimpetto all’isola dello Sri Lanka. Da Chennai a Madurai sono 460 chilometri. In quattro tappe i tempi degli spostamenti diventano compatibili con le soste, le visite e i desiderati imprevisti. Se i giorni disponibili fossero stati 13 o 14, sarebbe stato possibile fare il giro con l’andata lungo la costa ed il ritorno all’interno o viceversa. Una settimana basta appena per percorrere un itinerario da nord a sud lungo la costa. Anche se resteranno fuori mete come Tiruvannamalai, Vellore e Kanchipuram.
L’intenzione iniziale era di stare i primi due giorni a Chennai, ma un inconveniente dell’ultimo minuto mi ha impedito la visita della città. Il viaggio è cominciato subito on the road. Grazie agli accordi in rete per una macchina con autista, abbiamo incontrato Suresh appena scesi dall’aereo a Chennai e ci siamo avviati lungo la litoranea. Per la cronaca l’aereo arriva alle 5,00 di mattina, in piena notte. Una ressa di persone fuori dall’aeroporto, tenute lontano da un cordone di vigilantes. Quasi miracolosamente è emerso dal buio un prestante giovanotto con il segno di Shiva sulla fronte, che mostrava un foglio spiegazzato con le foto mie e di Teresa mandate da me cautelativamente all’agenzia di noleggio proprio per facilitare il riconoscimento.
Prima di partire ho studiato il percorso su Google Earth con l’ausilio della Rough Guide e Wikipedia, in modo da estrarre le 4 cartine degli spostamenti giornalieri. Senza togliere nulla all’avventura del viaggio, un’attenta preparazione limita al massimo i tempi morti che rischiano sempre di cannibalizzare proprio l’avventura.

1. Chennai – Mamallapuram. Una prima tappa breve di circa 80 km perché ci sono più cose da vedere e, soprattutto, Mamallapuram merita una sosta prolungata: i suoi complessi monumentali da soli meritano il viaggio (da raccontare in un post successivo).
Sulla carta l’attrazione in questo primo tratto del viaggio sembrava essere il centro/museo Dakshina Chitra, che Wikipedia descrive come il “tentativo di preservare alcuni dei tradizionali modi di vita dell’India meridionale costruendo un villaggio vivente”. Invece aspettando che aprisse (vista l’ora di arrivo) ho insisto con Suresh per andare su una delle tante kuppam beach, ovvero le spiagge antistanti i villaggi o quartieri dei pescatori con tanto di barche, capre, vacche, corvi e templi: un primo contatto con la vera India stracarica di contraddizioni e di fascino.
Per la sosta di due notti al termine di questo breve tragitto ho trovato (dopo numerose ricerche con Google e Google Earth) un albergo/villaggio direttamente sulla spiaggia. Ricordavo un precedente viaggio con una passeggiata al chiaro di una luna luminosissima. Ma dopo quarant’anni le cose non si ripetono: nuvole e foschia hanno coperto il cielo. In compenso l’accoglienza è stata più che buona. La catena alberghiera dei Tamilnadu Tourism (un ente governativo) pur essendo orientata ad un proprio target nazionale, garantisce a prezzi competitivi gli standard internazionali.
2. Mamallapuram – Chidambaram. Il lungo tragitto della seconda tappa (oltre 230 km) si svolge in una area agricola tutt’altro che povera. I tanti semplici incontri lungo il percorso mettono insieme studenti con la divisa della scuola e le capanne di fango e foglie di palma, fornaci di mattoni sul bordo della strada tra i campi coltivati e incroci congestionati, dove la densità di veicoli e persone rischia di diventare esplosiva. In particolare l’area prima e dopo Neyveli con addensamenti improvvisi a carattere urbano che interrompono il paesaggio agricolo. Se ti fermi a fare due passi o scattare qualche foto tutti ti sorridono e ringraziano. Se poi ti guardi intorno e vedi che sei l’unica coppia di turisti, il senso di amichevole accoglienza è ancora più piacevole.
Una classica delusione la visita al Vedanthangal Bird Sanctuary prevista dal programma di viaggio, perché la stagione era sbagliata: ad agosto gli uccelli non ci sono e si vede solo un assolato stagno verde.
Nel pomeriggio la visita al grande Nataraja Temple di Chidambaram ci ha immerso nella religiosità Hindu (un post a parte va dedicato all’incontro con l’Induismo).
Per arrivare all’albergo prenotato in rete si attraversa una relativamente piccola bidonville che ti riporta brutalmente davanti alla disperazione e alla miseria di tantissimi Indiani. Poi dietro l’angolo ritrovi le tue sicurezze di soggetto iper-privilegiato: l’albergo è perfetto, ben organizzato, pulito, cortese, ottimo cibo, economicissimo nel rapporto prezzo qualità (vale la pena di consigliarlo: Gran Palace Stay prenotato con www.agoda.it).
3. Chidambaram – Thanjavur. Una tragitto più breve del precedente (135 km) e con una maggior numero di soste intermedie. Il paesaggio agricolo non cambia di molto, ma dopo un paio di giorni ci siamo acclimatati e abbiamo cominciato a muoverci con maggiore tranquillità.
Oltre a templi più e meno recenti, grandi o frequentati (di particolare pregio il tempio di Gangai Konda Cholapuram), io ho programmato di fare una sosta nel villaggio Swamimalai che ha fama di essere centro di fonderie e lavorazione dei metalli. Suresh ha chiesto informazioni e abbiamo potuto visitare due botteghe. Ma anche questo ricordo dei lontani viaggi precedenti è andato deluso. La maestria è rimasta, la pazienza pure. Sono però scomparsi gli utensili primordiali che mi avevano affascinato nel 1975. Nei laboratori di lavorazione della pietra visitati due giorni prima a Mamallapuram la constatazione è stata la stessa: sostituendo la mola manuale ad arco con il frullino elettrico la fatica è minore, la produttività e la precisione maggiori, ma il valore dell’oggetto cambia inevitabilmente. Per fortuna ancora una vera e propria industrializzazione non ha cancellato la artigianalità dei prodotti.
Anche a Thanjavur mi sono affidato all’albergo del Tamilnadu Tourism e la struttura ricettiva ha pienamente risposto alle attese. Peccato che alcuni camerieri e impiegati non gradissero la presenza di estranei per di più occidentali. Siamo stati oggetto di comportamenti inutilmente maleducati. Nessun danno.
4. Thanjavur – Madurai. La visita del Maratha Palace e del tempio a Thanjavur ha richiesto l’intera mattinata. Poi siamo partiti in direzione sud con destinazione Rock Fort a Thirumayam. Questa volta Suresh non ha capito l’indicazione e ha confuso Thirumayam con Tiruchirapalli, una città in pieno sviluppo che sta in una direttrice parallela sempre verso sud.
La strada è diventata a due carreggiate e sei corsie, seppure gli attraversamenti a raso impediscono di considerarla una autostrada. Per un lungo tratto ai due lati della superstrada una serie numerosa di capannoni industriali che odorano di fresco, di ben mantenuto, cose che nelle città indiane è tutt’altro che frequente.
Purtroppo ho avuto conferma dei miei dubbi circa la strada scelta da Suresh solo quando era ormai troppo tardi. Anche a Tiruchirapalli c’è una fortificazione costruita sopra una grande roccia di granito rosso che si erge sulla brulicante città. Ma l’impatto paesaggistico e l’accuratezza di costruzione e decorazioni della mia meta originaria promettevano di essere ben altra cosa. Il caldo era terrificante, il sole a picco ti feriva, meglio rinunciare ad un surrogato faticoso da visitare (circa 300 gradini) e molto rimaneggiato nel corso del tempo.
Meglio dirottare verso Srirangam nelle immediate vicinanze del centro urbano. Come qualche volta avviene negli imprevisti di viaggio, la soluzione di ripiego si è rivelata eccellente. Il Shri Ranganathar Swamy Temple non solo è bellissimo, ma nel giorno della nostra visita stava festeggiando non so quale ricorrenza e i fedeli erano tanti, coloratissimi, sorridenti, a gruppi uniformi e compositi: uno spettacolo umano di rara intensità che sembra fatto apposta per essere filmato e fotografato.
Ultimo tratto di strada per arrivare a Madurai (che ancora una volta merita un post dedicato). Qui l’albergo trovato in rete gestisce le prenotazioni in proprio. Visitando il sito dell’Hotel Supreme mi hanno colpito le immagini del ristorante all’aperto sulla terrazza di copertura al settimo piano. Le case intorno sono più basse e le gopura del Meenakshi Amman Temple dominano la città e l’orizzonte. Soddisfattissimo anche questa volta dell’accoglienza, dei servizi, del rapporto qualità prezzo, nonché della vista notturna dalla terrazza.

Siamo rimasti due giorni per visitare la città e i dintorni. Poi ci siamo avviati sulla strada del ritorno con gli occhi pieni di volti, immagini, colori, oggetti, usanze, paesaggi, architetture, tessuti, fiori e tanto altro, ma anche con la consapevolezza di avere visto solo la minima parte di quello che merita di essere visto e vissuto in India. Non resta che tornare.

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