Non ero stato neanche sfiorato dal sospetto che certe scontrosità osservate nei pochi contatti avuti con Croati e Bosniaci nascondessero tanto odio. Visitando la linea del fuoco a Mostar in Bosnia sono rimasto sorpreso e spaventato di fronte a tanto odio. Le immagini fotografiche o televisive non potevano minimamente comunicare l’impatto dell’essere fisicamente parte della scena.
In particolare le fotografie qui riprodotte, salvo una, riguardano un paio di strade che corrono parallele alla Neretva lungo la sponda sud ovest. Ovviamente era ed è la linea di demarcazione tra la zona a prevalente popolazione bosniaca/mussulmana a nord est e quella a prevalente popolazione croato/ortodossa a sud ovest.
Gli intonaci divelti dai proiettili di fucili o mitragliatori spiegano molto meglio delle parole quanto lunga, determinata e irragionevole sia stata la violenza delle persone coinvolte nel conflitto. Non credo che riuscirò mai a capire come una comunità di persone possa concepire il proprio futuro solo nella prospettiva dell’annientamento di un’altra comunità di persone. E in una comunità ci sono i cattivi e i buoni, i grandi e i piccoli, i mansueti e gli aggressivi. Durante il conflitto hanno imbracciato il fucili quasi tutti. Si sono sparati a distanza ravvicinata in tanti e per tanto tempo.
I lavori di restauro e ricostruzione erano già cominciati quando ho scattato queste foto. Oggi i segni della guerra sulla città saranno stati tutti o quasi cancellati. Ho però il dubbio che le cause storiche del conflitto mantengano la loro pericolosità potenziale. Ricordare serve sempre.
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