Se potessi tornare in Cappadocia, il tragitto sarebbe lo stesso dell’ultima volta, ma l’attenzione ed i tempi della visita sarebbero diversi. Punto di ingresso in Anatolia sempre Konya (la città dei famosi Dervisci). L’uscita da una città molto caratterizzata dalla cultura ottomana attraversa una periferia ormai uguale a tutto il resto del mondo, con i capannoni industriali, i silos, i rifornimenti di carburante. Quando l’agricoltura prende il sopravvento sul paesaggio urbano, tornano i segnali di una cultura antica nei campi e nelle poche case.
Proseguendo sull’altipiano si passa molto vicino sia a formazioni geologiche singolari sia ad una serie di caravanserragli. Ad esempio con una deviazione a sinistra di circa 4 chilometri si arriva ad Obruk, un piccolo paese agricolo affacciato su una sorta di buco circolare della crosta terrestre pieno d’acqua con a fianco le rovine di un caravanserraglio.
Altro breve tratto di strada in mezzo a sterminati campi coltivati a cereali e si arriva a Aksaray con altri caravanserragli restaurati e, ovviamente, le sue moschee. Di qui il paesaggio cambia e assume progressivamente i caratteri particolari della Cappadocia.
Nella visita precedente non ho riflettuto sul fatto che le tappe giornaliere di una carovana di cammelli non superavano i 40 chilometri. La distanza tra i caravanserragli non poteva e non può che essere nettamente minore. Per assaporare il rapporto con il paesaggio che ha disegnato l’Anatolia bisogna uscire dalla schiavitù della macchina e della velocità. Fare per lo meno un tratto molto lentamente con piccole soste frequenti. Allora i monti lontani che segnano l’orizzonte, i minareti e le case che suddividono lo spazio, l’itinerario torna a appartenere alla “Via della Seta”.
A Sultanhani a 35 km dopo Obruk e 45 prima di Aksaray il caravanserraglio merita una visita per una architettura di indubbio interesse, per il restauro e per il rapporto che ancora mantiene con la Via della Seta.
Subito dopo Aksaray è obbligatoria una deviazione verso destra. L’altopiano dell’Anatolia comincia ad ondularsi e quasi all’improvviso appare solcato da strapiombi, strette valli scavate dai fiumi dentro un alto strato di rocce rosse o rosate. Sopra i campi o prati riarsi, in mezzo pareti rocciose che scendono in verticale tra i 20 e i 60 metri, in basso il verde dei salici e dei capperi lungo il corso del fiume, lungo le pareti piccoli monasteri e luoghi di culto ortodossi scavati e decorati.
A 30 chilometri dall’itinerario principale Selime è un punto vi visita organizzato. Ma oltre al caso singolare, il paesaggio offre tutta una serie di gole tagliate, di vuoti che si aprono all’improvviso, di antichi segni dell’acqua.
Tornati sulla Via della Seta ci si accorge che il panorama è cambiato. Le alture che prima stavano all’orizzonte si sono avvicinate; lungo i fianchi scoscesi sono numerosi i paesi e paesetti arroccati. Guardando meglio le case sono spesso composte da una parte costruita all’esterno che prosegue in una parte scavata all’interno della roccia. Anche questo è un aspetto da metabolizzare con un minimo di calma per leggere la filigrana di un tessuto che nasce dall’intreccio delle attività costruttive dell’uomo da una parte e della natura dall’altra, anche se tutti e due (uomo e natura) scavano e accumulano materiale.
Da ultimo appaiono le principali emergenze della Cappadocia: le valli di Zelve e di Göreme, la città sotterranea di Derinkuyu. A Zelve le formazioni falliche accatastate l’una all’altra sono state utilizzate dai primi abitanti per scavare stanze spesso collegate da cunicoli o scale. L’aggregato di forme naturali, generato dall’erosione dovuta a pioggia e vento, diventa la base per un aggregato di unità abitative umane, anch’esso generato dalla prosecuzione dello scavo questa volta con utensili.
Purtroppo quando sono stato in Cappadocia non era ancora attivo il servizio di mongolfiere per apprezzare le formazioni geologiche dall’alto. Ma se torno ... non me lo perdo di certo. Muoversi liberamente nell’aria permette di fruire nel modo migliore una formazione geologica che assume connotati diversi se vista da vicino, da lontano, dal basso e dall’alto.
Il complesso monumentale di Göereme, pur essendo anch’esso ipogeo e quindi generato dallo scavo della roccia, presenta valenze più propriamente architettoniche. Le pareti rocciose in questo caso hanno una maggiore continuità, gli scavi sono di dimensioni maggiori, con molteplici ambienti collegati tra loro e, soprattutto, gli spazi ottenuti rispondono ai canoni delle architetture bizantine. Chiese con piante a croce greca, coperte da cupole o volte a crociera, segnate da archi e colonne, arricchite da nicchie e decorazioni pittoriche. Purtroppo l’erosione di vento, pioggia e gelo è proseguita anche dopo la realizzazione dei monasteri bizantini (anzi è stata accentuata proprio dall’intervento antropico). Il crollo delle parti esterne ha portato allo scoperto parte degli ambienti che una volta erano completamente ipogei.
Ultima emergenza che manca dall’elenco la città sotterranea di Derincuyu, forse la più importante tra le decine di insediamenti sotterranei realizzati, sempre in epoca tardo-romana nei dintorni dell’attuale Nevsehir. Qui le geometrie euclidee si perdono completamente. Meandri, spazi ameboidi e budelli ricreano un sistema a 11 livelli sovrapposti che presenta sorprendenti analogie con altri insdiamenti animali sotterranei.
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