Ad un primo sguardo i dipinti sui muri (e sulle automobili) del Kenya sembrano sostituire le insegne e le vetrine che siamo abituati a vedere nel nostro mondo più fortunato. Progressivamente però ho annotato altri significati. Per esempio, i grandi murales per la campagna contro l’AIDS vanno oltre gli aspetti puramente pubblicitari. Così i disegni sulle pareti di una scuola o asilo destinato ai bambini più poveri e sfortunati.
Progressivamente dalle figure e dai colori emerge un racconto che a mio avviso spiega, documenta un aspetto del Kenya e più in generale dell’Africa: il complicato contatto tra culture, modi di comunicare e condividere la cosiddetta modernità. Anche quando parlano di malattia c’è una sorta di gioiosità nei colori e nelle raffigurazioni africane che per un Europeo poco si addicono ai contenuti del murales. Ma mettendo insieme le più diverse decorazioni incontrate e fotografate in Kenya mi accorgo che questo è il filo conduttore della comunicazione applicato poi sia all’insegna commerciale sia alla raffigurazione a fini didattici.
Le pitture vogliono offrire una pausa al dolore delle persone, vogliono trovare o per lo meno cercare un momento di sollievo anche in situazioni estreme. Le decorazioni del posto di ristoro o del salone di bellezza incontrati tra baracche e montagne di rifiuti vanno letti come grido di speranza. Una speranza umile, senza illusioni, ancorata ad una incredibile capacità di resistenza al dolore, vissuta collettivamente attraverso la valorizzazione degli scambi anche poveri o poverissimi: ognuno ha un suo contributo da offrire, una capacità, una intenzione.
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