domenica 16 dicembre 2012

Turchia - Una visita virtuale della Cappadocia

Se potessi tornare in Cappadocia, il tragitto sarebbe lo stesso dell’ultima volta, ma l’attenzione ed i tempi della visita sarebbero diversi. Punto di ingresso in Anatolia sempre Konya (la città dei famosi Dervisci). L’uscita da una città molto caratterizzata dalla cultura ottomana attraversa una periferia ormai uguale a tutto il resto del mondo, con i capannoni industriali, i silos, i rifornimenti di carburante. Quando l’agricoltura prende il sopravvento sul paesaggio urbano, tornano i segnali di una cultura antica nei campi e nelle poche case.
Proseguendo sull’altipiano si passa molto vicino sia a formazioni geologiche singolari sia ad una serie di caravanserragli. Ad esempio con una deviazione a sinistra di circa 4 chilometri si arriva ad Obruk, un piccolo paese agricolo affacciato su una sorta di buco circolare della crosta terrestre pieno d’acqua con a fianco le rovine di un caravanserraglio.
Altro breve tratto di strada in mezzo a sterminati campi coltivati a cereali e si arriva a Aksaray con altri caravanserragli restaurati e, ovviamente, le sue moschee. Di qui il paesaggio cambia e assume progressivamente i caratteri particolari della Cappadocia.
Nella visita precedente non ho riflettuto sul fatto che le tappe giornaliere di una carovana di cammelli non superavano i 40 chilometri. La distanza tra i caravanserragli non poteva e non può che essere nettamente minore. Per assaporare il rapporto con il paesaggio che ha disegnato l’Anatolia bisogna uscire dalla schiavitù della macchina e della velocità. Fare per lo meno un tratto molto lentamente con piccole soste frequenti. Allora i monti lontani che segnano l’orizzonte, i minareti e le case che suddividono lo spazio, l’itinerario torna a appartenere alla “Via della Seta”.

A Sultanhani a 35 km dopo Obruk e 45 prima di Aksaray il caravanserraglio merita una visita per una architettura di indubbio interesse, per il restauro e per il rapporto che ancora mantiene con la Via della Seta.
Subito dopo Aksaray è obbligatoria una deviazione verso destra. L’altopiano dell’Anatolia comincia ad ondularsi e quasi all’improvviso appare solcato da strapiombi, strette valli scavate dai fiumi dentro un alto strato di rocce rosse o rosate. Sopra i campi o prati riarsi, in mezzo pareti rocciose che scendono in verticale tra i 20 e i 60 metri, in basso il verde dei salici e dei capperi lungo il corso del fiume, lungo le pareti piccoli monasteri e luoghi di culto ortodossi scavati e decorati.
A 30 chilometri dall’itinerario principale Selime è un punto vi visita organizzato. Ma oltre al caso singolare, il paesaggio offre tutta una serie di gole tagliate, di vuoti che si aprono all’improvviso, di antichi segni dell’acqua.
Tornati sulla Via della Seta ci si accorge che il panorama è cambiato. Le alture che prima stavano all’orizzonte si sono avvicinate; lungo i fianchi scoscesi sono numerosi i paesi e paesetti arroccati. Guardando meglio le case sono spesso composte da una parte costruita all’esterno che prosegue in una parte scavata all’interno della roccia. Anche questo è un aspetto da metabolizzare con un minimo di calma per leggere la filigrana di un tessuto che nasce dall’intreccio delle attività costruttive dell’uomo da una parte e della natura dall’altra, anche se tutti e due (uomo e natura) scavano e accumulano materiale.
Da ultimo appaiono le principali emergenze della Cappadocia: le valli di Zelve e di Göreme, la città sotterranea di Derinkuyu. A Zelve le formazioni falliche accatastate l’una all’altra sono state utilizzate dai primi abitanti per scavare stanze spesso collegate da cunicoli o scale. L’aggregato di forme naturali, generato dall’erosione dovuta a pioggia e vento, diventa la base per un aggregato di unità abitative umane, anch’esso generato dalla prosecuzione dello scavo questa volta con utensili.
Purtroppo quando sono stato in Cappadocia non era ancora attivo il servizio di mongolfiere per apprezzare le formazioni geologiche dall’alto. Ma se torno ... non me lo perdo di certo. Muoversi liberamente nell’aria permette di fruire nel modo migliore una formazione geologica che assume connotati diversi se vista da vicino, da lontano, dal basso e dall’alto.
Il complesso monumentale di Göereme, pur essendo anch’esso ipogeo e quindi generato dallo scavo della roccia, presenta valenze più propriamente architettoniche. Le pareti rocciose in questo caso hanno una maggiore continuità, gli scavi sono di dimensioni maggiori, con molteplici ambienti collegati tra loro e, soprattutto, gli spazi ottenuti rispondono ai canoni delle architetture bizantine. Chiese con piante a croce greca, coperte da cupole o volte a crociera, segnate da archi e colonne, arricchite da nicchie e decorazioni pittoriche. Purtroppo l’erosione di vento, pioggia e gelo è proseguita anche dopo la realizzazione dei monasteri bizantini (anzi è stata accentuata proprio dall’intervento antropico). Il crollo delle parti esterne ha portato allo scoperto parte degli ambienti che una volta erano completamente ipogei.
Ultima emergenza che manca dall’elenco la città sotterranea di Derincuyu, forse la più importante tra le decine di insediamenti sotterranei realizzati, sempre in epoca tardo-romana nei dintorni dell’attuale Nevsehir. Qui le geometrie euclidee si perdono completamente. Meandri, spazi ameboidi e budelli ricreano un sistema a 11 livelli sovrapposti che presenta sorprendenti analogie con altri insdiamenti animali sotterranei.

giovedì 6 dicembre 2012

Kenya – I racconti colorati in città e in campagna

camapgna the anti aids near the bus stop
Ad un primo sguardo i dipinti sui muri (e sulle automobili) del Kenya sembrano sostituire le insegne e le vetrine che siamo abituati a vedere nel nostro mondo più fortunato. Progressivamente però ho annotato altri significati. Per esempio, i grandi murales per la campagna contro l’AIDS vanno oltre gli aspetti puramente pubblicitari. Così i disegni sulle pareti di una scuola o asilo destinato ai bambini più poveri e sfortunati.
Progressivamente dalle figure e dai colori emerge un racconto che a mio avviso spiega, documenta un aspetto del Kenya e più in generale dell’Africa: il complicato contatto tra culture, modi di comunicare e condividere la cosiddetta modernità. Anche quando parlano di malattia c’è una sorta di gioiosità nei colori e nelle raffigurazioni africane che per un Europeo poco si addicono ai contenuti del murales. Ma mettendo insieme le più diverse decorazioni incontrate e fotografate in Kenya mi accorgo che questo è il filo conduttore della comunicazione applicato poi sia all’insegna commerciale sia alla raffigurazione a fini didattici.
Le pitture vogliono offrire una pausa al dolore delle persone, vogliono trovare o per lo meno cercare un momento di sollievo anche in situazioni estreme. Le decorazioni del posto di ristoro o del salone di bellezza incontrati tra baracche e montagne di rifiuti vanno letti come grido di speranza. Una speranza umile, senza illusioni, ancorata ad una incredibile capacità di resistenza al dolore, vissuta collettivamente attraverso la valorizzazione degli scambi anche poveri o poverissimi: ognuno ha un suo contributo da offrire, una capacità, una intenzione.
the classroom of a school crossing at nairobi
the entrance to the school from the barracks
Asylum for children affected by AIDS
along the streets of kenya
information campaigns for agriculture
health information campaigns
decoration shopping for tourists in nairobi
advertising among the huts of the poor
the sign of a shop in meru
the paintings in place of windows in meru
tales colored for the sale of feed
the place to eat in the barracks
the taxi decorated for the rich in nairobi
advertising on economic transport
decorated bus in the jam of nairobi
the bus terminal in nairobi
trade points along the streets of kenya
beauty salon in the midst of poverty
the meat store in front of the market meru
the barber among the shacks of mud

mercoledì 5 dicembre 2012

Marche – Le colline disegnate dall’agricoltura

Per appropriarsi di un paesaggio meglio girovagare senza una meta precisa, passare e ripassare in uno stesso luogo, confrontare momenti e punti di osservazione complementari. Le colline dell’entroterra marchigiano sono segnate da strade che salgono e scendono, le ingabbiano in una ragnatela di percorsi possibili, equivalenti. I centri urbani e i borghi rurali stanno quasi sempre in alto, sulla sommità di colline e crinali. Lasciando le strade più trafficate e gli agglomerati maggiori, il paesaggio coltivato si nasconde e si disvela ad ogni curva, salita o albero.
the profile of the Apennines of Umbria Marche
the top of the cultivated hills
fields in the high hills
degrade the down hills
the road halfway uphill
the ridge road inland from Pesaro
the road halfway down
the road on top of the cultivated areas
the hillsides in autumn
the degradation of the hills into the valley
the worked field before winter
meadows and fields in the pass
the large lawn in the area pass
the rows of vines in halfway
regular planting of olive trees
the fence, tree-lined fields
the screws before winter break
the path between the trees of the Mediterranean
the rural road that surrounds the field
the road that leads to the valley floor
the hills close to the sea with the countries on the ridges
other arable fields enclosed by trees
a look from the top of coastal plain
the last hills before the coast of the Adriatic Sea

Le colline marchigiane sono comprese tra l’appennino a sud e il mare a nord, sono poi segnate da una serie di fiumi e relative valli sempre dirette da sud a nord. Il sali e scendi delle strade si fa più accentuato verso l’appenino e più dolce verso il mare. E il verso nel quale si procede cambia il tipo di panorama che di tanto in tanto si apre alla vista: il profilo dei monti più alti se si va verso sud, la pianura costiera e il mare se si va verso nord.
Al di la degli scorci panoramici, che pure giustificano la passeggiata, il paesaggio marchigiano è prima di tutto disegnato dall’agricoltura. I campi circoscritti da alberi e fossi entrano in dialettica con la morfologia delle colline generando una infinità di forme diverse. Per chi, come me ha memoria dello stesso paesaggio negli anni ’50, qualche rimpianto limita il piacere della vista. Una volta il disegno rasentava il merletto, rispetto a quello di oggi più dilatato e marcato. Prima le pendici erano terrazzate, i campi erano scanditi dai filari di viti e alberi da frutto, il confine tra coltivato e incolto era sfumato, poco evidente. Oggi è evidente il contrasto tra arato o seminato da una parte e macchia mediterranea dall’altro. Con una analogia pittorica, il paesaggio agricolo del secondo dopoguerra rimanda all’importanza del dettaglio nei Preraffaelliti, mentre quello odierno ha maggiori assonanze con le campiture dei Postimpressionisti.
Nel preparare la visita o la passeggiata c’è anche da considerare la mutevolezza di ogni paesaggio, e di quello agricolo in particolare, per quanto riguarda la stagione dell’anno, le condizioni atmosferiche, l’ora del giorno, nonché la distanza che va dal molto lontano (panorama ampio), al rapporto tra primo e secondo piano (quinta di alberi), al molto vicino (fronde o foglie).